Pubblicare un libro e compiere 30 anni

Irene Doda
3 min readFeb 7, 2024

Il 24 gennaio è uscito il mio libro di esordio. Cinque giorni dopo, il 29 gennaio, ho compiuto 30 anni. Questo è un post bimbominkia. Ritenetevi avvisate.

Pubblicare un libro

Io pubblico cose da un bel po’: su giornali cartacei, su riviste online, su newsletter, su piattaforme di podcast. Mi è capitato anche di parlare in pubblico (con risultati altalenanti, ma stiamo migliorando). Eppure, essere pubblicata da una casa editrice, nel formato di un libro, con la costa, la quarta di copertina e la mia biografia fa un effetto diverso. Perché? Mi sono data due risposte: una più lusinghiera e una decisamente meno. Quella lusinghiera riguarda il modo in cui le persone interagiscono con i contenuti. Sebbene abbia pubblicato molti articoli online, soprattutto da quando scrivere è diventato il mio mestiere, raramente ho avuto l’impressione che i miei articoli lasciassero un’impronta duratura. Magari le persone commentano, magari ricondividono con piccoli pensieri personali, nel migliore dei casi mandano un messaggio esprimendo alcune loro opinioni e facendo domande. Ma tutto il discorso intorno a un articolo si perde nel ciclo di notizie, polemiche social, analisi e rianalisi nel giro di pochi giorni. Un libro è più duraturo, e vive anche un po’ oltre il testo stesso — vive nelle librerie e nelle presentazioni, nelle conversazioni con il pubblico. È un oggetto generativo, meno effimero delle parole online.

La ragione meno lusinghiera riguarda il mio ego fragile. Vedere il proprio nome stampato su una copertina è una cosa che in qualche modo crea un senso di realizzazione — anche se il saggio è piccolo, non so quanto venderà o circolerà — e tratta un tema di nicchia. Devo dire che vendere tanto non è che mi interessi davvero. Non lo dico per fare quella staccata dalle cose materiali, tutto il contrario: vedere quel nome stampato basta a soddisfare la mia necessità di validazione. E così sia.

Compiere trent’anni

La verità è che non ho idea di come sia compiere trent’anni, forse perché un po’ me li sono sempre sentiti; non sono mai stata “giovane”, o amato le cose dei “giovani”. Ho sempre trovato fastidioso il rumore, per non parlare delle feste, delle scene sociali con troppe persone e dell’aspettativa di restare sveglia fino a tardi. Per tanto tempo mi sono scontrata con il mio desiderio di una forma di socialità più tranquilla, meno fondata sul continuo esporsi. Complice il fatto che essere stanca e avere sonno acuiscono alcuni miei sintomi di disagio mentale. Queste cose a diciassette anni non sono accettabili, mentre a trenta sì.

Ho sempre avuto dei problemi con la gioventù e con il suo concetto. Da bambina volevo essere adulta. Non ho mai avuto il desiderio di tornare indietro nel tempo, la mia adolescenza è stata un periodo di ansia suprema, inadeguatezza, in cui mi sono sentita piegata a un mondo che non desideravo, a delle forze totalmente aliene al mio controllo. I miei vent’anni sono stati un lungo periodo di scoperta dolorosa.

Sto leggendo, per un po’ di coincidenze del destino, anche un po’ di libri che parlano dell’essere giovani, dell’avere vent’anni e devo dire che una cosa non mi manca: l’intensità. “A vent’anni abbiamo avuto tutte il sogno di essere senza peso” ha scritto Emanuela Anechoum nel suo Tangerinn. Sono felice della mia (ri) trovata cautela, del mio peso, del saper dormire sulle cose, sulle decisioni, del fare a volte tutto all’ultimo e un po’ a tirar via. Anche del pensare troppo, ma dell’avere degli strumenti per farlo bene, o al meglio che posso.A vent’anni non hai una pancia a a cui dare retta, dice Taylor Tomlison. E allora accomodiamoci, su ‘sta panza — e aspettiamo che passi anche questo decennio. Possibilmente andando a letto presto.

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