Note autunnali su un’etica affermativa

Irene Doda
5 min readSep 15, 2021

Il nucleo di questo progetto etico è la concezione positiva del soggetto, inteso come radicalmente immanente, corpo intensivo, ossia come concatenamento di forze o flussi, intensità e passioni che si concretizzano nello spazio e si consolidano nel tempo sotto forma di quella singolare configurazione comunemente nota come “sé individuale”.

Rosi Braidotti, Materialismo Radicale

Torno dall’ufficio: otto ore in una stanza anonima a svolgere lavoro noioso per conto di altri. Colleghi più anziani che si permettono battute allusive sul mio conto. Io che ridacchio imbarazzata ingoiando la rabbia, che mi corrode le viscere. Niente di tutto questo, nella mia mente, ha alcun senso. Perché sono qui? Che cosa sto facendo del mio tempo, della mia energia?

Il silenzio è senza dubbio l’opzione più facile da scegliere. È così semplice farsi andare giù una routine soffocante, un abuso di potere: siamo talmente abituate — e uso il femminile non a caso. È così semplice fare un sospiro, abbandonarsi a un risolino e andare avanti. Your silence will not protect you. Mi metto di buona lena per affinare le armi che ho a disposizione. Voglio mettere per iscritto questa breve riflessione che mi ha aiutato a elaborare, nell’arco di un viaggio in treno, impotenza e frustrazione. La rabbia è rimasta. Animerà molte strade a venire.

Nominare

La prima arma per difendersi è la consapevolezza. Non dismettere il proprio disagio, non farlo diventare una colpa, non normalizzare le situazioni di abuso e di svuotamento del sé. Nel momento in cui una cosa è nominata, diventa un bersaglio. E se diventa un bersaglio, significa che può essere distrutta. Ciò che è più temibile è ciò che non può — o non deve — essere nominato. Ben lungi dall’essere una questione vittimistica o puramente identitaria, dichiarare di subire (disagio, abuso di potere, razzismo, sessismo) è un passo verso la definizione di sé. Proprio quel sé che chi esercita un potere coercitivo mira ad annientare. Dicendo di essere vittime si esce dallo stato della vittima per eccellenza: l’invisibilità. Ecco perché il backlash contro movimenti di opinione come il #MeToo, o il recente dibattito tossico sul DDL Zan prendo di mira in modo così spietato il processo di identificazione pubblica delle vittime di discriminazioni: perché la violenza si consuma meglio nell’ombra.

Le sensazioni di disagio, i desideri profondi; quindi, tutte quei sentimenti innominati che corrono sotterranei nel nostro essere, generalmente espunti dalla vita sociale, dalla presentazione pubblica delle persone possono rappresentare anche una bussola etica al livello individuale.

Delimitare

Spesso mi sono domandata che posto spetti all’etica in un mondo dove la morale assoluta ha mostrato tutte le sue limitatezze e ha provocato danni incalcolabili. Eppure, io credo nell’etica: credo nella costruzione di un mondo e di una comunità dove i rapporti umani di basino su dei principi positivi. Tali principi fondano non una società sulla difensiva, più preoccupata di tenersi lontana dai guai che di costruire e creare, ma una società desiderante, tesa al futuro. Da dove iniziare a tessere? La bussola etica non può che svilupparsi dai nostri corpi: da quello che desideriamo più potentemente, che ci tiene svegli di notte e ci fa scattare su la mattina cariche di ansia e di aspettativa, che ci fa torcere le budella dall’orrore e dalla rabbia. Per questo, l’etica affermativa è anche etica materiale, radicata nel corpo.

La centralità del corpo stabilisce l’esistenza di un confine. Creare un confine significa mettere dei paletti a quello che può danneggiare l’integrità di un individuo. Un confine di sopravvivenza. Violare tale confine significa annientare ogni spinta costruttiva. Significa creare una comunità di legami negativi, basati sulla paura reciproca. Da quel confine parte anche il potere, nel senso di impoteramento o di potentia per dirlo con Rosi Braidotti. È il confine che crea la soggettività. Anche l’autodifesa è un reclamo di soggettività: lungi dall’essere una reazione distruttiva, è il primo passo per dire “Da qui si inizia a costruire”. Tutto questo lo dico partendo dalla mia esperienza di giovane donna silenziata su più fronti, la cui voce pubblica, in ambito politico e professionale è stata vittima di una lunga autocensura, quella risatina imbarazzata che dismette la nostra rabbia ha permeato gran parte della mia vita come soggetto sociale.

Tessere

Crescere politicamente a sinistra significa crescere con il rifiuto della società individualista, e a gran ragione. Per questo trovo sempre problematico, o comunque meritevole di una riflessione approfondita, l’affermazione secondo cui un’etica dovrebbe fondarsi sull’individuo e sui suoi desiseri. Due cose posso dire al riguardo: la società individualista tardocapitalista non ha alcun interesse nell’individuo. Fa di tutto per schiacciarlo, per umiliarlo e ridurlo al silenzio.

Secondo, l’ideologia liberale fa dell’individuo il suo punto di arrivo: il coronamento di un percorso etico è la realizzazione dell’io a scapito di altri. Nonostante i vari proclama sulla trickle down economics, quello capitalista è un mondo a somma zero, dove l’accumulo di ricchezza materiale e simbolica di un gruppo di persone avviene sempre a scapito di altri. Ed è un mondo che si basa sulle categorizzazioni: i bianchi dominano sui neri, gli uomini sulle donne, gli eterosessuali sugli altri orientamenti sessuali e di genere. È un mondo pieno di regole scritte e non scritte che hanno esclusivamente effetti castranti sugli individui.

Credo che un’etica che sia radicata nella soggettività e impoterante nei confronti di tutte e tutti debba partire dall’individuo, dai suoi bisogni e desideri profondi, ma il coronamento di tali desideri sia soltanto il punto di partenza per creare legami. La vedo come una potenza esponenziale. Una continua ricerca di sé spinge alla creazione di reti e legami fruttuosi, che proiettano a loro volta il loro desiderio di un mondo diverso al di fuori dei loro confini. La figurazione del materiale diffuso e dell’intelligenza decentrata mi aiuta a mettere a fuoco questa struttura di desideri interconnessi che si ordinano e si intrecciano, e generano altri desideri e altri confini materiali. Determinare la soggettività è il primo tassello, ma la soggettività è un nodo di un loop, non il coronamento di uno sviluppo teleologico come nell’immaginario capitalista.

Creare

Il concetto tradizionale di potere come siamo abituati a concepirlo si traduce nell’annientamento di soggettività. Il potere in ottica affermativa significa creazione di spazio per l’identità di ogni persona. La creazione di questo spazio non si può che operare collettivamente: diversamente, diventa una lotta solitaria di un soggetto contro un altro, e lo spazio che ciascun individuo ha per esprimersi annienta quello destinato ad un altro soggetto.

Fondare una società sull’etica affermativa dovrebbe implicare la creazione di spazi che diano potere creativo alle singole persone: infrastrutture sociali che favoriscano espressione e autodeterminazione. Ma siamo talmente abituati a pensare alle regole, alla società, in senso negativo o restrittivo, che l’idea di fondare una società basata sui desideri e disegnata sui confini delle soggettività che la abitano, pare un’utopia. A me piace la parola utopia. La trovo la cosa più concreta, al momento, che possediamo. Il desiderio più radicato, da cui iniziare a costruire.

--

--