Il terzo otto

Lo sciopero è un diritto, lo sciopero è un privilegio.

Irene Doda
4 min readMar 8, 2021

Ci ho messo un bel po’ di tempo a prendere il coraggio di dire ai miei capi che oggi non avrei lavorato. Le aziende famigliari possono essere luoghi molto accomodanti ma anche molto ostici nei confronti dei bisogni e delle idee dei lavoratori. Avere un proprio punto di vista politico e militante e portarlo in azienda, quando si è in un team piccolo e dove tutto è in qualche modo riportato all’ambito personale, non è affatto una mossa scontata. Quest’anno il mio annuncio de “l’otto marzo non ci sono” ha ricevuto un’accoglienza neutra. Non ci sono state conseguenze. A onor del vero devo dire che, se da una parte porsi in modo politico sul luogo di lavoro quando si ha un contratto precario porta il suo fardello di rischi, essendo io pagata in modo forfettario (con un contratto di collaborazione a progetto) non ho dovuto rinunciare a una parte del mio salario. E’ stato uno sciopero simbolico, non per questo meno importante. Riconosco nondimeno il privilegio di non aver avuto ripercussioni per questa mia scelta dal punto di vista dello stipendio.

L’anno scorso ero appena entrata in un posto nuovo e, con la pandemia che incombeva avevo rinunciato. “E se hanno bisogno di tagliare il personale?” Io ero l’ultima arrivata, da meno di un mese, e forse non era il caso di rischiare. Per di più mi ero appena ritrasferita in Italia, non avevo contatti professionali, se mi avessero lasciata a casa sarebbe stato enormemente complicato trovare un nuovo lavoro. E risottolineo: era il marzo del 2020, il teaser dell’apocalisse. L’anno prima invece lavoravo a partita IVA e se avessi perso un giorno di lavoro avrei perso un giorno di paycheck. Semplicemente, da sola in una città straniera e costosissima, non potevo permettermelo.

The thrid time is a charm. Il mio terzo anno da lavoratrice è stato anche il mio primo anno di sciopero per l’otto marzo. Per via della zona rossa nella mia città non ci sono state iniziative, ma con le compagne del collettivo di genere abbiamo prodotto un video di appello, fatto assemblee nei giorni scorsi e parlato di nuove idee per il futuro. Su Anticurriculum stiamo raccogliendo testimonianze di questa giornata e condividendo storie di lavoratori e lavoratrici in lotta. Mi sono iscritta a un nuovo spazio di discussione online. Ho dato il mio contributo infinitesimale come al solito, eppure, sento che tutto sia partito da quel “no, oggi non lavoro”, che finalmente mi sono sentita abbastanza stabile da dire.

Non lo do per scontato. Tantissime persone che conosco si trovano in situazioni in cui la scelta non è in mano loro: la compagna che ha un appello all’Università che non può saltare. L’amica che si sente sul filo del rasoio al livello lavorativo e non può dire no ai clienti. L’altra amica, a partita IVA, che non può perdere un giorno di salario. L’amico che ha spese mediche sulle spalle e anche lui non può rischiare il posto. I casi potrebbero continuare. A volte non sono necessità esclusivamente materiali a dettare la scelta di scioperare o meno: l’anno scorso uno dei miei problemi maggiori era come l’avrebbero presa i miei nuovi capi. Magari non mi avrebbero licenziata. Ma non volevo, appena entrata, fare la figura di quella che vuole farsi il weekend lungo un mese dopo l’assunzione. Se non faccio rientrare anche questo aspetto simbolico e relazionale nella mie scelte, rischio di tralasciare un pezzo della storia.

E quindi? Le persone che non se la sentono di scioperare oggi sono tutte ipocrite o contraddittorie? Prima di tutto è bene ricordare che siamo contraddizioni viventi e di contraddizioni siamo fatte. Inoltre direi che lo sciopero può non essere solo fisico: può essere uno sciopero emotivo (faccio le cose senza entusiasmo, non sorrido e non faccio convenevoli), uno sciopero bianco (faccio il minimo indispensabile riprendendomi il mio tempo sul lavoro) o uno sciopero dal lavoro di cura (oggi non lavo i pavimenti). Da ognuna secondo le sue possibilità, in questo caso il posizionamento è importante. E non possiamo tralasciare il contesto relazionale in cui il lavoro si svolge: non si sciopera per non lasciare sola una persona che può aver bisogno di noi, non si sciopera per la pressione ad essere team player a tutti i costi, non si sciopera perché per anni ci hanno ripetuto che chi sciopera lo fa per andare al mare e nessuna di noi vuole sentirsi la lavativa di turno. Si ritorna alla solita tiritera: viviamo in un mondo che ci dà valore per quanto sappiamo adattarci un sistema. Un piccolo modo di scioperare potrebbe essere quello di riappropriarci semplicemente delle nostre imperfezioni: ripeterci che il desiderio di performare non viene da noi, che va bene essere lavoratrici poco ambiziose, madri stanche, compagne arrabbiate, receptionist con la resting bitch face, attiviste non sempre coerenti, persone ansiose che stanno cercando di liberarsi della necessità di compiacere gli altri per forza. Anche una consapevolezza è un passo in una direzione; la lotta non deve essere sulle spalle di una sola persona. Oggi sciopero per la me degli anni scorsi — e per tutte quelle che non se la sentono, non possono, o vivono una situazione di ricatto. Per i motivi più svariati.

Buon otto marzo.

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