Il mezzo di contrasto

Irene Doda
3 min readMar 5, 2020

Quante belle cose che stiamo collettivamente apprendendo sul nostro sistema economico durante questo momento di emergenza. Tutti quanti abbiamo imparato i vantaggi dello smart working, a cui le aziende italiane sono (tradizionalmente) molto restie: aria più pulita, più ore di sonno, tempo guadagnato negli spostamenti, meno rischi per la salute. Ma come tutte le crisi, c’è qualcuno che la sta pagando più di altri.

La scrittrice e blogger Carolina Capria ha scritto su Facebook un post immediato e illuminante:

“Problema.

Se il governo chiude le scuole per quindici giorni e una famiglia media non può permettersi una babysitter e non ha nonni nelle immediate vicinanze a cui lasciare la prole, quale membro del nucleo dovrà rinunciare al lavoro?
Il candidato indichi il soggetto che ritenuto maggiormente responsabile dell cura dei figli e titolare di un lavoro meno remunerativo, pagherà il prezzo più alto in questo momento di crisi.”

Ovviamente, la risposta è: le donne. Saranno loro le prime vittime sacrificali dello stato di emergenza. Siamo sorpresi, forse? Quelle donne che mediamente, in Italia, guadagnano il 43,7% rispetto al salario degli uomini, sono occupate tre volte tanto gli uomini in part-time involontario, e si fanno carico del doppio del lavoro familiare rispetto ai compagni maschi, se non si può pagare la baby sitter ma si può andare avanti, tutto considerato, anche con un solo stipendio, ecco che torneranno al lavoro di cura full time. Non voglio stare qui a illustrare nel dettaglio gli effetti negativi che una ridotta partecipazione femminile al mercato del lavoro ha sul PIL e sulla crescita di una nazione, li potete leggere qui.

Poi ci sono tutti i lavoratori e le lavoratrici che non potendo andare sul posto e non potendo usufruire di malattia, sussidi o ferie, semplicemente, salteranno un mese (ma forse molti di più) di paga. Si tratta delle cosiddette finte partite IVA, forza lavoro trattata come dipendente (con orari di lavoro, obblighi di presenza, onere di rispettare i turni) ma senza nessuna delle tutele che un contratto subordinato (ma nemmeno para-subordinato) comporta. In Italia sono un grande classico per aggirare le normative sul lavoro. Ha fatto notizia la protesta degli educatori. Ma tra i freelance solo-sulla-carta e di altre varietà di precari, compresi lavoratori in nero, ce ne sono in moltissimi settori: la ristorazione, il mondo culturale, la logistica. Queste persone non sono monadi nell’etere, hanno figli, mutui da pagare, debiti da saldare, bollette, eccetera. Il precariato non è una parola-slogan, ma una piaga socio-economica, che si sta manifestando, in questi giorni, in tutta la sua virulenza. C’è un bel reportage di The Submarine in merito.

E infine ci sono quelli e quelle che, semplicemente, a lavoro ci devono andare e basta: infermier*, operatori e operatrici sanitarie, ferrovier*, autisti. Con tutti i rischi che l’esposizione comporta. Pensiamo ai lavoratori/lavoratrici della logistica - quelli che spesso hanno contratti esternalizzati o interinali, rinnovati settimanalmente, mensilmente, semestralmente quando va bene , quelli che impilano le casse di verdura che poi noi ci portiamo a casa dal supermercato che svaligiamo facendo le scorte da metterci in casa, quelli che ci spediscono il pacco quando non ce la sentiamo di andare ai grandi magazzini. Sono loro che mandano avanti le catene del valore in questo momento di emergenza; ne sono una colonna portante e tra le meno remunerate e valorizzate. E sono in prima linea, molto più esposti di altri al contagio.

Ricordatevi di stare a un metro di distanza, anche se siete manager in giacca e cravatta!

Sto forse dicendo che dovremmo riaprire scuole e teatri e fare finta di niente? Assolutamente no, la salute pubblica è un bene prezioso da proteggere. Ma l’emergenza sta fungendo da eccezionale mezzo di contrasto, evidenziando le categorie più vulnerabili (ce ne sono sicuramente altre oltre a quelle elencate in questo articolo) sotto il profilo delle tutele lavorative, del genere, e senza dubbio anche della provenienza geografica, che si incrocia con tutti gli elementi di cui sopra. Forse l’epidemia passerà, forse no, forse avremo alcune settimane di quarantena, forse il Covid-19 diventerà un new normal, ma riflettere sulle discriminazioni, striscianti o palesi, a cui siamo esposti non dovrebbe mai smettere di essere un tema emergenziale.

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